IL CARSISMO NELL'AREA MEDITERRANEA

II° INCONTRO DI STUDI

Castro Marina, Lecce (Italy) - 14-16 September 2001



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CARSISMO E DESERTIFICAZIONE NEL TERRITORIO DI LECCE

Delle Rose M.*, De Marco M.*, Federico A.*, Fidelibus C.*, Internò G.*, Orgiato W.**, Piscazzi A.*
* IIa Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Bari ** Laboratorio Analisi Pignatelli - Lecce


Il problema della desertificazione sta assumendo, in vari ambiti dell'area mediterranea, dimensioni preoccupanti. Di conseguenza, la corretta gestione delle riserve idriche risulta un aspetto di importanza strategica al fine di minimizzare le conseguenze dell'aumento delle temperature medie. Nelle aree carsiche e costiere, come quella salentina, il problema della desertificazione è strettamente connesso con quello della salsificazione delle acque di falda, causato quest'ultimo del deficit tra infiltrazione efficace ed efflussi totali. Qui, l'uso per scopi irrigui di acque di falda aventi contenuto salino di alcuni grammi per litro, benché "tollerato" da varie colture, determina un progressivo accumulo di sali nei suoli. Di conseguenza questi ultimi tendono a divenire "sterili" in modo pressoché irreversibile. Nel Salento la tendenza alla salsificazione varia in funzione delle caratteristiche idrogeologiche dell'acquifero carsico profondo. Nel territorio di Lecce, dove i Calcari del Cretacico sono sormontati da unità geologiche a permeabilità ridotta e nulla, l'incidenza del fenomeno risulta essere particolarmente elevata. La ricerca condotta ha permesso di determinare le caratteristiche dell'acquifero carsico del territorio in questione, di porre le basi per la realizzazione di un modello fisico-matematico della circolazione idrica nel sottosuolo mediante tecniche informatiche e di prevedere possibili scenari futuri in ragione delle diverse opzioni di sfruttamento della falda.




OSSERVAZIONI SULLA SPELEOGENESIDELLE VORE DI BARBARANO

Beccarisi L., Cacciatore G., Chiriacò L., Delle Rose M., Giuri F., Marras V., Resta F., Solombrino P.
Gruppo Speleologico Neretino, p.zza Mercato 13, Nardò (Lecce).


Le Vore di Barbarano (Morciano di Leuca, prov. di Lecce), rappresentano due delle più ampie cavità carsiche, a prevalente sviluppo verticale, del Salento. Esse si differenziano da altri sistemi di vore del Salento, quali quelli di Spedicaturo e di Roca Vecchia, anche per le morfologie "composite" degli ipogei, a testimonianza di condizioni speleogenetiche più complesse e articolate. Le osservazioni speleologiche condotte, unitamente ad altre (geomorfologiche, stratigrafiche, idrogeologiche e biologiche), permettono di individuare i meccanismi speleogenitici all'origine delle vore. Sono state così individuate, per la prima volta, più fasi speleogenetiche, ciascuna correlabile con aspetti geologici e paleogeografici del sito. Considerazioni verranno svolte anche sulla possibile influenza dell'attività estrattiva in merito alla formazione degli accessi agli ipogei.




GENESI,EVOLZIONE E PALEOGEOGRAFIA DELLE GROTTE COSTIERE DI MARINA DI CAMEROTA (PARCO NAZIONALEDEL CILENTOVALLO DIDIANO,ITALIA MERIDIONALE

Esposito C., Filocamo F., Marciano R., Romano P., Santangelo N. & Santo A.


Il tratto di costa cilentana localizzato tra Marina di Camerota e Porto Infreschi è caratterizzato dalla presenza di numerose grotte, note in letteratura soprattutto per la loro ricchezza in reperti preistorici. E' stato effettuato uno studio di dettaglio di queste cavità dal punto di vista geomorfologico e stratigrafico, al fine di acquisire ulteriori informazioni relative alla loro genesi ed evoluzione in relazione alle oscillazioni eustatiche tardo pleistoceniche del livello del mare. L'attuale andamento della linea di costa sì è individuato a partire dal Pleistocene inferiore finale per il settore fra Marina di Camerota e Cala Bianca, seguendo lineamenti strutturali a direzione N100, ed all'inizio del Pleistocene medio per la costa compresa fra Torre degli Iscolelli e Cala dei Mori secondo faglie con direzione SW-NE.

I dati raccolti consentono di affermare che le grotte si sono individuate nel Pleistocene medio, come cavità associate ad una falda impostata nella successione carbonatica triassico-giurassica del M. Bulgheria. L'evoluzione della falesia durante il Pleistocene superiore, ma soprattutto durante l'Olocene, ha determinato la cattura ed a volte la totale scomparsa di alcune di queste grotte con formazione di piccole baie circolari. Lungo il tratto costiero esaminato sono presenti diverse situazioni esplicative dei vari stadi evolutivi (grotte ancora integre e grotte parzialmente o totalmente crollate in seguito all'arretramento più o meno spinto della falesia). All'interno delle cavità sono presenti le tracce di almeno tre diversi stazionamenti del livello del mare. Il più alto è associato a morfologie ed indicatori (fori di litodomi, solchi di battigia) a quote intorno ai 10 m. ed è riferibile allo stage 7 della stratigrafia isotopica. A quote inferiori (+6, +4) si rinvengono, in tutte le grotte, le tracce erosionali e/o deposizionali (sabbie e conglomerati fossiliferi a Strombus, Alghe rosse e Cladocora) della trasgressione tirreniana (stages isotopici 5e e 5c). In una delle grotte di Porto Infreschi sono chiaramente evidenti episodi di concrezionamento della cavità interposti alle varie fasi di ingressione marina (presenza di stalattiti e stalagmiti forate dai litofagi e di concrezioni non forate) che testimoniano il ripetersi dell'invasione e dell'abbondono della grotta da parte del mare durante gli stages 7 e 5.

Il forte abbassamento del livello del mare associato alla regressione wurmiana ha determinato un marcato avanzamento della linea di costa con conseguente abbandono da parte del mare delle grotte durante gli stages 4-3. E' in questo periodo che l'uomo preistorico le sceglie come rifugio, lasciando numerose tracce della sua presenza; le frequentazioni più antiche risalgono al Musteriano, ma perdurano in tutto il Paleolitico superiore e nell'età dei Metalli. Le cavità prescelte sono spesso vicine alle attuali sorgenti sottomarine presenti lungo la costa che, tra 80 e 10 ka, erano emerse.

Le grotte studiate si sono rivelate degli importantissimi archivi naturali per quanto riguarda la registrazione delle oscillazioni eustatiche e climatiche tardo pleistoceniche oltre che per la loro ricchezza di reperti prestorici. Esse presentano dunque tutti i requisiti per essere considerate dei geositi di rilivanza nazionale e come tali devono essere preservate ma soprattutto valorizzate in maniera adeguata.




GROTTA SOTTOMARINA DE "LU LAMPIUNE" : NOVITA' ESPLORATIVE E PRIME INDAGINI ECOLOGICHE

Raffaele Onorato*, Paolo Forti°, Genuario Belmonte**, Marco Poto*
* GSN, Gruppo Speleologico Neretino, Sez. Speleosub, Piazza Mercato, 13 Nardò (LE) ° Istituto Italiano di Speleologia, Università di Bologna, Via Zamboni 67, 40127 Bologna ** DiSTeBiA, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali (Stazione di Biologia Marina), Università degli Studi, Ecotekne, 73100 Lecce


Scoperta ed esplorata dagli speleosub neretini nel 1989, la Grotta sottomarina de Lu Lampiune, Pu 1318, si rivelò come una delle più grandi e complesse della costa orientale salentina. Negli ultimi due anni, la cavità è stata oggetto di ulteriori visite da parte dei biologi del DiSTeBiA dell'Università di Lecce in collaborazione con gli speleosub del GSN. Nel corso delle ultime immersioni è stata scoperta una galleria non descritta nel rilievo realizzato nel 1989, che ha aperto la via a nuove esplorazioni. Nella relazione verrà proposto il nuovo ed inedito rilievo topografico, la descrizione speleologica della nuova galleria, ed i risultati delle prime indagini sulle biocenosi benthoniche sessili. Verrà quindi presentato uno studio morfologico e chimico effettuato su una delle strane concrezioni eccentriche, presenti nella sala terminale della grotta.




IL DISTURBO ARRECATO ALLE COMUNITÀ DI CHIROTTERI TROGLOFILI DALLA FRUZIONE DELLE GROTTE

Antonella MARSICO *
* Dipartimento di Geologia e Geofisica, Sezione di Geografia Fisica e Geomorfologia Dottorato di ricerca in Geomorfologia e Dinamica Ambientale XVI ciclo E- mail: antomarsi@geo.uniba.it

La frequentazione, anche sporadica, delle cavità ipogee porta ad un'inevitabile alterazione dei parametri chimico-fisici che regolano l'ambiente e la vita in grotta. Gli speleologici disattenti, i turisti e gli esploratori occasionali sono la causa di contaminazione non solo nel momento in cui lasciano rifiuti di ogni genere, ma anche con la loro presenza: diventano sorgente di rumore, luce e calore che modificano l'ambiente. Tutta la fauna troglobia, adattata alla costanza dei parametri ambientali, è ovviamente sensibile al disturbo, ma anche i chirotteri, animali troglofili che usano le grotte come rifugi, risentono della presenza di estranei. Il loro particolare ritmo biologico li rende vulnerabili al disturbo apportato durante le fasi di riposo: il danno è maggiore quando l'intrusione avviene in inverno o tra maggio e giugno nelle nurseries. Ogni alterazione in una cavità che ospita rifugi provoca lo spostamento e la dispersione della colonia sul territorio alla ricerca di altre grotte idonee alle loro esigenze, non sempre con esiti positivi. La diminuzione della popolazione di varie specie di chirotteri troglofili nel nostro territorio si può, quindi, far risalire anche all'indiscriminata frequentazione delle cavità, oltre che ai noti effetti derivanti dall'uso di insetticidi ed erbicidi in agricoltura. Questa tendenza può essere rallentata con l'assunzione di alcuni semplici accorgimenti volti a ridurre al minimo il rischio di disturbare i pipistrelli. In tal modo è possibile far coesistere l'esplorazione dell'affascinante mondo sotterraneo con la conservazione di questi animali che svolgono un ruolo importantissimo nel mantenimento dell'ecosistema ipogeo.




CAVITÀ CARSICHE SEDI DI CULTO NELLE MURGE SUD-ORIENTALI: UN PATRIMONIO DA SALVAGUARDARE

Antonella MARSICO * & Oronzo SIMONE *
* Dipartimento di Geologia e Geofisica, Sezione di Geografia Fisica e Geomorfologia Dottorato di ricerca in Geomorfologia e Dinamica Ambientale XVI ciclo E- mail: antomarsi@geo.uniba.it; o.simone@geo.uniba.it

La sacralità di numerosi luoghi di culto, in ogni popolo del passato o del presente, è spesso correlata a particolarità ambientali quali foreste, grandi alberi, monti, cavità sotterranee ecc.. Le cavità ipogee hanno stimolato e affascinato l'immaginario collettivo nel corso di tutta l'evoluzione della storia umana, rappresentando una soglia fra il mondo conosciuto e l'ignoto. Tali luoghi, oggetto di devozione popolare, non solo rappresentano l'eredità di una tradizione culturale che affonda le radici in credenze ancestrali, ma anche, e soprattutto, beni che fanno parte del nostro patrimonio naturalistico e, come tali, da salvaguardare. In questa breve nota si vuole presentare il risultato parziale di un ampio studio già intrapreso da alcuni mesi da uno degli scriventi (A. M.) e ben lungi dall'essere concluso, finalizzato alla conoscenza ed al recupero del patrimonio carsico nell'ambito del Consorzio "Trulli, Grotte, Mare", nelle Murge sud-orientali. In tale area la popolazione è ancora molto legata alle tradizioni agricole, come testimoniano le numerose masserie e case rurali abitate, disseminate nelle campagne. Da sempre questa comunità vive in un paesaggio, omogeneo dal punto di vista geomorfologico, profondamente caratterizzato dal carsismo sia ipogeo che epigeo. L'indissolubile e secolare rapporto tra uomo e natura, il più delle volte una convivenza forzata con i campi pietrosi e assetati, ha favorito la nascita e il perdurare di suggestioni, anche religiose, che traggono origine dall'ambiente carsico. Sono state quindi prese in esame e censite quelle cavità naturali diventate luoghi di culto in seguito a fatti ed avvenimenti che hanno stimolato l'immaginario popolare, al fine di valutarne lo stato di conservazione e, qualora necessario, delineare azioni mirate alla loro salvaguardia.




IL RUOLO DEL CARSISMO NELLA VALUTAZIONE DELLA VULNERABILITA' POTENZIALE ALL'INQUINAMENTO DEGLI ACQUIFERI CARBONATICIDEI MONTI DI PALERMO

Antonio Contino (1), Gioacchino Cusimano* (1), Antonino Di Cara (1), Cipriano Di Maggio (1), Alfonso Frias Forcada (1) & Sergio Hauser (2)
(1) Dipartimento di Geologia e Geodesia dell'Università di Palermo, Corso Tüköry 131, 90134 Palermo. (2) Dipartimento di Chimica e Fisica della Terra dell'Università di Palermo, Via Archirafi 36, 90123 Palermo *Tel.: 0917041015 - Telefax: 0917041041 - e-mail: kelin@unipa.it

L'area dei M.ti di Palermo e delle pianure costiere adiacenti (Palermo, Carini, Terrasini, Partinico), ospita diversi centri urbani, per oltre 1.000.000 d'abitanti. Negli ultimi decenni si è verificato uno sviluppo incontrollato delle aree urbanizzate, oltre che nelle piane costiere e nelle zone pedemontane, anche nelle aree montane. Quest'ultima, ha interessato le principali aree di ricarica degli acquiferi carbonatici. Questo sviluppo non è stato accompagnato dalla realizzazione di reti di servizi (fognature, acquedotti, ecc.). Una conseguenza dell'assenza di queste reti è stata il proliferare di pozzi perdenti senza controllo sanitario. I depuratori dei centri urbani, che scaricano i reflui nei corsi díacqua, talvolta non assolvono alle loro funzioni per l'assenza di collaudi o manutenzione. Inoltre si riscontra, oltre ad una diffusa presenza di piccole discariche abusive e d'accumuli di materiali di risulta, lungo le principali vie di comunicazione, la localizzazione di varie discariche comunali d RSU, la più importante tra le quali è quella del Comune di Palermo, sita in una struttura carbonatica intensamente fratturata nell'area di Bellolampo. Lo sfruttamento incontrollato delle risorse idriche sotterranee nelle pianure costiere ha, infine, determinato un deterioramento della qualità delle stesse, a causa dell'intrusione marina, che arriva ad interessare le fasce pedemontane dei rilievi carbonatici. L'edificio strutturale dei M.ti di Palermo è costituito di una serie d'unità tettoniche sovrapposte. Questa costruzione è il risultato della deformazione di terreni, afferenti alla Piattaforma Carbonatica Panormide (Trias-Oligocene) ed al Bacino Imerese (Trias sup.-Cretaceo inf.). Recenti studi hanno evidenziato la sovrapposizione dei terreni imeresi su quelli panormidi. I terreni carbonatici, dei domini panormide ed imerese, costituenti i principali acquiferi dei M.ti di Palermo, sono interessati da diversi sistemi di frattura, d'età diversa, alcuni dei quali subparallele ai sistemi di dislocazione tettonica. Sono altresì presenti fratture beanti con andamento N-S, che svolgono un importante ruolo idrogeologico inducendo lo sviluppo della rete carsica ipogea e condizionando il deflusso idrico sotterraneo nelle idrostrutture. La circolazione idrica sotterranea nei complessi carbonatici si realizza solo attraverso reti di fratture e condotti carsici; inoltre è condizionata dalle caratteristiche litostratigrafiche delle successioni e dalle geometrie dei fronti di sovrascorrimento che costituiscono limiti e soglie di permeabilità. L'esistenza d'oltre 200 grotte, alcune delle quali costituite da sistemi di pozzi e gallerie sviluppatesi a differenti quote, è indicativa di un sistema carsico profondo ben sviluppato. Nelle aree soggette ad intensi processi di dissoluzione chimica, le grandi e piccole depressioni carsiche costituiscono le principali zone d'infiltrazione concentrata delle acque superficiali. Sulla base di queste osservazioni e in relazione alla presenza d'importanti falde idriche, nei corpi carbonatici fessurati e fratturati, e ai rapporti esistenti fra sistemi esocarsici ed endocarsici e fra acquiferi e sorgenti, si evince che l'area studiata presenta un alto grado di vulnerabilità potenziale all'inquinamento.



ALCUNE CONSIDERAZIONI SU NEOTETTONICA. GEOMORFOLOGIA E KARST IN MATESE,APPENNINO MERIDIONALE

Natalino Russo
Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Napoli “Federico II” Gruppo Speleologico del Matese, San Potito Sannitico, CE e-mail: natrusso@tin.it

In questo lavoro vengono presi in esame alcuni sistemi carsici del Matese (Campo Braca, Pozzo della Neve, Cul di Bove) e se ne fornisce una prima classificazione morfologica. In base alle topografie aggiornate e al rilevamento di campagna, vengono fatte alcune osservazioni sui rapporti intercorrenti tra la carsificazione e gli eventi tettonici che hanno interessato recentemente il massiccio. In particolare, per il sistema carsico di Campo Braca, la cavità cui è stata dedicata maggiore attenzione, sono stati riconosciuti tre livelli di carsificazione, e vengono avanzate due ipotesi evolutive in relazione alla dinamica di alcune faglie che bordano importanti polje dell’area, come quello del Lago Matese.



NUOVI DATI SULL'IDROGEOLOGIA DEL SUPRAMONTE DI BAUNEI OTTENUTI MEDIANTE L'ANALISI DI IMMAGINI TELERILEVATE

Jo De Waele e Rita Teresa Melis
Dipartimento di Scienze della Terra, Via Trentino 51 - 09127 CAGLIARI Tel.: 070 6757778 - Fax 070 282236 - e-mail: geoam@unica.it e telegis@unica.it

Il quadro idrogeologico del Supramonte di Baunei (Golfo di Orosei, Sardegna centro-orientale), anche se ben studiato da diversi anni, è ancora lontano da essere completamente chiarito. La mancanza di una idrografia superficiale perenne, la saltuarietà delle precipitazioni e la difficoltà di effettuare prove di tracciamento delle acque sotterranee hanno finora impedito uno studio idrogeologico approfondito di questo massiccio carsico, che consentirebbe di delimitare i differenti bacini facenti capo a grosse sorgenti sottomarine. Sulla base dei dati geologici, tettonici, geomorfologici ed alcuni rari esperimenti con traccianti artificiali è stato comunque possibile ipotizzare l'esistenza di almeno 3 grossi sistemi idrogeologici facenti capo alle sorgenti sottomarine di Cala Luna, di Cala Sisine (grotta del Bel Torrente) e di Bacu Mudaloro (grotta Utopica), e diversi piccoli bacini tra cui si possono citare la grotta di S'Erriu Mortu, quella di Bacu Olcoé e le risorgenti sottomarine di Goloritzé. In questo lavoro si sono utilizzate immagini satellitari per la individuazione delle sorgenti carsiche sottomarine. I dati utilizzati sono le immagini Landsat TM 5 e 7 di diverse date di acquisizione. La disponibilità di una serie di immagini multitemporali e multistagionali ha permesso di effettuare una prima scelta basata su due importanti parametri: la differenza di temperatura tra le acque carsiche e quelle del mare e la presenza di notevoli portate. Una prima analisi dei dati disponibili ha messo in evidenza la necessità di considerare tra i fattori determinanti anche le condizioni del mare e quindi l'assetto della dinamica costiera. Gli studi svolti precedentemente dagli autori, hanno infatti messo in evidenza la presenza di sorgenti lungo la costa riconoscibili come anomalie termiche nella banda 6 del Landsat TM5, e anomalie nel visibile. I primi dati analizzati, riferibili al periodo in cui massima è la differenza termica tra le acque, risentono fortemente delle condizioni meteomarine, per cui si è deciso di elaborare i dati meno favorevoli dal punto di vista termico, ma che possono offrire risposte spettrali in funzione delle portate. I risultati di questo lavoro rappresentano una proposta metodologica che si ritiene di poter sviluppare anche per valutazioni di tipo semi-quantitativo.



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